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Fondi principali
- Plutei
- Medicei Palatini
- Raccolte varie
- Orientali
- Conventi Soppressi
- San Marco
- Alfieri
- D’Elci
- Ashburnham
- Alfieri di Sostegno
- Papiri Greci e Latini
La Biblioteca conserva oggi all’incirca 11.000 manoscritti (ai quali si aggiungono 150 cassette di carte sciolte), 2.500 papiri, 43 ostraka, 566 incunaboli, 1.681 cinquecentine, 592 testate di periodici specializzati e un totale di 126.527 edizioni a stampa (dal XVII al XX secolo).
La particolarità delle raccolte consiste nell’essere quasi nella loro interezza il risultato di una scelta consapevole che ha privilegiato l’antichità, il pregio filologico, la bellezza dei singoli pezzi.
Plutei
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Il fondo principale corrisponde ai circa 3.000 manoscritti (inventario di Giovanni Rondinelli e Baccio Valori del 1589) che trovarono posto nei plutei (banchi) all’apertura della Biblioteca nel 1571 e che per quella occasione furono rivestiti di una nuova legatura alle armi medicee che oggi ancora conservano.
I manoscritti provengono dalla raccolta privata della famiglia Medici il cui nucleo originario è individuato nei 63 libri posseduti da Cosimo il Vecchio nel 1417/1418 e che alla sua morte (1464) erano divenuti 150. I suoi figli Piero (1416-1469) e Giovanni (1421-1463) fecero eseguire a gara manoscritti miniati; Lorenzo di Piero, detto il Magnifico (1449-1492), arricchì particolarmente la sezione in lingua greca e trasformò la fisionomia della raccolta famigliare ordinando, a partire dagli anni Ottanta, copie di testi destinati a dare completezza alla biblioteca e a renderla esauriente luogo di ricerca. Dei pronipoti di Cosimo il Vecchio, Piero (1472-1504) proseguì il progetto paterno fino alla cacciata dei Medici (1494) e Giovanni (1475-1521) si distinse per la sua passione possedendo codici fino dalla prima giovinezza. Giovanni, eletto pontefice nel 1513 con il nome di Leone X, recuperò la biblioteca famigliare confiscata al momento della cacciata acquistandola dai Domenicani di San Marco ai quali la Signoria l’aveva venduta e la portò a Roma nel palazzo di famiglia (oggi Palazzo Madama) presso Sant’Eustachio (1508). Solo sotto il pontificato del cugino Giulio (1478-1534), figlio di Giuliano, poi papa Clemente VII dal 1523, si realizzò il ritorno a Firenze della raccolta per la quale lo stesso pontefice dette inizio alla della Biblioteca.
Agli esemplari appartenenti alla famiglia de’ Medici si aggiunsero quelli provenienti dalle biblioteche umanistiche di Francesco Sassetti e di Francesco Filelfo, i codici dedicati a Leone X e quelli da lui acquistati nel periodo romano. Alcuni manoscritti, fra i più preziosi, furono acquisiti infine dalla Biblioteca del convento domenicano di San Marco.
L’ultima discendente dei Medici, l’Elettrice Palatina, Anna Maria Luisa, fu esclusa per la sua condizione femminile dalla successione al Granducato, sicché nel 1737 il titolo granducale sulla Toscana fu attribuito a Francesco Stefano di Lorena, marito di Maria Teresa d’Austria, divenuta imperatrice nel 1745.
Con singolare quanto lungimirante attenzione alle tradizioni della famiglia l’Elettrice Palatina trasferì alla dinastia regnante le grandi raccolte artistiche medicee a patto che esse fossero conservate nella capitale con una funzione che oggi definiremmo pubblica. Alla Biblioteca Medicea esistente nella Reggia il granduca Francesco Stefano (imperatore Francesco I dopo il 1745) aveva aggiunto la biblioteca fatta trasferire a Firenze dal castello avito di Lunèville, decretandone poi nel 1765 l’apertura al pubblico. Fu probabilmente la scarsa affluenza dei visitatori ad indurre il successore Pietro Leopoldo a chiudere la biblioteca nel 1771 e ad assegnare i libri e manoscritti alla Magliabechiana. Solo nel 1783 una parte dei manoscritti (181) passarono dalla Magliabechiana alla Laurenziana, forse per compensare la dolorosa perdita di 281 edizioni che per rescritto imperiale erano state cedute a quella Biblioteca. denominata fondo Mediceo Palatino Lorenese, fu arricchita successivamente da sontuosi doni granducali.
Raccolte private ed ecclesiastiche
Fra il 1755 e il 1789 pervennero alla Biblioteca Laurenziana biblioteche di famiglie private e di ordini religiosi anche grazie all’abile regia di Angelo Maria Bandini, bibliotecario dal 1757 al 1803.
Il declino del patrimonio di famiglia induceva gli eredi di molti casati illustri a vendite sconsiderate: il Governo, nella persona dell’imperatore Francesco I, acquistò nel 1755 la biblioteca della famiglia Gaddi, allestita nel corso di quattro secoli e ricca di più di mille manoscritti (già catalogata da Giovanni Targioni). La Biblioteca fu suddivisa fra l’Archivio delle Riformagioni, la Laurenziana e la Magliabechiana, sebbene Bandini avesse suggerito di attribuirla alla Marucelliana, recentemente aperta al pubblico.
Molti anni dopo, nel 1785, le stesse condizioni si verificarono per la celebre libreria del senatore Carlo Strozzi (1587-1670). Con l’estinzione della famiglia per la morte di Alessandro nel 1784, Pietro Leopoldo acquisì la Biblioteca che fu suddivisa fra la Magliabechiana e la Laurenziana.
Decadenza delle biblioteche religiose e politica delle annessioni furono cause concomitanti di altre acquisizioni. Fra le più rilevanti l’appropriazione autoritaria della biblioteca di Santa Croce (1767) da parte di Pietro Leopoldo, che successivamente restituì 165 dei codici passati in Laurenziana. Definitiva e radicale l’espropriazione della biblioteca del Duomo di Firenze, oggetto di furti e di incendi. Nel 1778 i manoscritti furono trasferiti in Laurenziana dove assunsero la denominazione di ‘Edili’, traduzione dotta del termine ‘operaio’, magistrato deputato al mantenimento della Fabbrica di Santa Maria del Fiore. Ai manoscritti furono aggiunti anche i codici liturgici e quattro Antifonari miniati. Nello stesso anno con la soppressione dei Canonici Regolari Lateranensi di Fiesole pervennero 6 codici manoscritti della loro biblioteca (altri 123 dalla Magliabechiana nel 1783). Soppresso anche l’ordine Cistercense dell’antica Abbazia di S. Salvatore sul Monte Amiata pervenne nel 1785 alla Laurenziana, dopo un breve trasferimento al Seminario presso S. Frediano del Cestello (l’attuale Seminario Maggiore di Firenze), la Bibbia Amiatina dell’VIII secolo. Furono invece acquistati nel 1789 i 17 codici appartenenti ai frati zoccolanti del convento di San Francesco (poi San Bonaventura) del Bosco ai Frati in Mugello dove Cosimo il Vecchio e poi Lorenzo nel 1430 avevano adunato una copiosa biblioteca presso la loro villa di Cafaggiolo. Nel 1783 erano sicuramente già arrivate in Laurenziana le carte del Concilio fiorentino del 1439 e le celeberrime Pandette di Giustiniano.
Nel 1584 il cardinale Ferdinando dei Medici (1549-1609, granduca di Toscana dal 1587) fondò a Roma la Stamperia Orientale detta Medicea allo scopo di dare vita ad un’attività editoriale, ispirata ai principi tridentini, volta a sostenere la predicazione del cattolicesimo tra i musulmani e alla confutazione delle fedi cristiane di rito orientale. Per questo motivo il cardinale sovvenzionò l’acquisto di numerosi manoscritti in ebraico, persiano, arabo, turco, siriaco e copto, contenenti grammatiche, lessici, testi scritturali nonché opere di natura scientifica e filosofica da stampare. Dopo essere stata conservata a Roma e altrove, nel 1684 la collezione orientale palatina approdò a Firenze. Nel 1771 con la chiusura della Libreria Palatina voluta dal granduca Pietro Leopoldo: parte della collezione orientale entrò in Laurenziana, il resto nella Magliabechiana.
Come altre biblioteche fiorentine la Biblioteca Medicea Laurenziana fu destinataria dell’imponente flusso dei manoscritti provenienti dai conventi i cui ordini furono banditi e soppressi dall’editto napoleonico del 1808. In particolare, la Commissione degli oggetti d’arte e scienza scelse per la Laurenziana complessivamente 631 manoscritti greci, latini, orientali, miniati e membranacei provenienti, tra le altre, dalle biblioteche della Badia Fiorentina, di Santa Maria Novella, di Santa Maria degli Angeli, della Santissima Annunziata, di Santo Spirito, Santa Maria del Carmine, Ognissanti e Vallombrosa.
Fra le biblioteche conventuali un caso del tutto particolare è rappresentato dal fondo di San Marco: si tratta, infatti, di una parte dei libri provenienti dalla biblioteca che Cosimo il Vecchio aveva fondato nel Convento domenicano di San Marco con manoscritti provenienti in larga misura dalla raccolta di Niccolò Niccoli, di contenuto classico e patristico, cui si aggiunsero codici appartenenti a Poggio Bracciolini, Lorenzo e Vespasiano da Bisticci e Giorgio Antonio Vespucci. In parte depauperata nella seconda metà del secolo XVI, quando Cosimo I ne confiscò alcuni codici a favore della Laurenziana (ante 1571), la biblioteca rimase inviolata nel corso dei secoli XVII e XVIII. Nel 1809 invece, come conseguenza della soppressione napoleonica delle Corporazioni religiose (1808), confluirono in Laurenziana 264 codici della biblioteca. A questi, per interessamento dell’abate Niccolò Anziani, direttore della Laurenziana, si aggiunsero nel 1883 altri 194 manoscritti.
Il fondo Alfieri, costituito di 39 manoscritti, in parte autografi di Vittorio Alfieri, 2 cartelle di carte e documenti, 15 opere a stampa appartenenti all’Alfieri e da lui postillate, pervenne alla Laurenziana nel marzo del 1824 per dono di François – Xavier Pascal Fabre (1796-1837), erede universale di Luisa Stolberg, contessa d’Albany, morta nel gennaio dello stesso anno, che a sua volta aveva ereditato tutto il patrimonio alfieriano. Il Fabre, collezionista e pittore di una certa fama, eseguì pregevoli ritratti dell’Alfieri e della contessa. A Montpellier, sua città natale, Fabre donò la sua collezione d’arte che forma il Museo che porta il suo nome, oltre alla biblioteca di Vittorio Alfieri che è oggi conservata nella Bibliothèque municipale.
La collezione d’Elci, costituita da 1.213 esemplari di editiones principes di autori classici greci e latini nonché di edizioni aldine cosiddette ‘dell’ancora secca’, pervenne effettivamente alla Laurenziana soltanto nel 1841 in occasione del Secondo Congresso degli Scienziati italiani che ebbe luogo in quell’anno a Firenze, sebbene Angelo Maria d’Elci (Firenze 1754 – Vienna 1824) ne avesse fatto dono alla Biblioteca con atto ufficiale fin dal 1818. La prestigiosa raccolta che d’Elci destinò fin dalla fine del Settecento alla sua patria, la Toscana, e alla Laurenziana, degna sede per accogliere siffatta collezione, rimase fino alla sua morte presso di lui a Vienna, dove egli provvide a munire gli esemplari di legature nel gusto dell’epoca. Successivamente essa fu ospitata a Firenze presso l’amico Giovanni degli Alessandri, Direttore delle RR. Gallerie e Presidente dell’Accademia di Belle Arti, che per conto del collezionista curò gli ultimi interventi di legatura dei volumi e seguì la vicenda, assai lunga nel tempo, della costruzione della Sala progettata da Pasquale Poccianti che si apre sulla parete della Biblioteca michelangiolesca. Nel periodo in cui la raccolta rimase presso Alessandri il canonico Francesco Grazzini (1790-1844) ne compilò il catalogo, stampato a Firenze nel 1826 senza indicazione di autore, presso la Tipografia all’insegna di Dante. Alla raccolta di opere a stampa risultano aggiunti otto manoscritti di opere, note e lettere di D’Elci.
Il fondo comprende circa 2.000 manoscritti già appartenuti al matematico e bibliofilo Guglielmo Libri (1802-1869) e da lui venduti a Lord Bertram, quarto conte di Ashburnham, nel 1847. Nel 1884, a seguito della morte di quest’ultimo (1878), la raccolta fu acquistata dal governo italiano per la Biblioteca Medicea Laurenziana. Si tratta di una raccolta preziosissima di codici anteriori, in genere, al secolo XVIII e spesso di origine italiana tra i quali si contano molti esemplari sottratti illegalmente da Libri a biblioteche italiane e straniere.
La collezione di edizioni elzeviriane raccolte dal dotto bibliofilo marchese Cesare Alfieri di Sostegno (Torino 1799 – Firenze 1869) pervenne in dono alla Laurenziana nel 1920 per volontà dei suoi discendenti affinché si unisse, almeno idealmente, ai manoscritti del poeta Vittorio Alfieri, appartenente a un ramo collaterale della loro stessa famiglia. Si compone di 1.278 esemplari, ciascuno dei quali riporta all’interno del piatto anteriore l’ex libris con stemma di famiglia e motto ‘Hostili tincta cruore’. Gli esemplari sono arricchiti di splendide legature molte delle quali firmate, per la massima parte eseguite in Francia dove Cesare Alfieri di Sostegno soggiornò negli anni 1814-1828. È in corso il recupero delle descrizioni bibliografiche in modalità di catalogazione derivata dal data base OCLC.
La Biblioteca Medicea Laurenziana ha la fortuna ed il privilegio di conservare una fra le più ricche ed importanti collezioni di papiri greci e latini provenienti dall’Egitto. Vi si conservano infatti 386 dei 391 Papiri cosiddetti Fiorentini (PFlor. I; II; III) e due terzi circa dei 1452 Papiri della Società Italiana (PSI). Accanto a questi due gruppi di papiri, la Laurenziana ne conserva un altro gruppo che è stato valorizzato solo dal 1976 con le edizioni dei volumi dei Papiri Laurenziani (PLaur.). La Scuola Papirologica Fiorentina di G. Vitelli e M. Norsa ha sempre rivolto ai testi letterari un’attenzione particolare, e tali testi costituiscono l’oggetto di questo catalogo on-line